ALDO monologo teatrale


ALDO atto unico sulla fine di una guerra 
Scritto e diretto da Stefano Razzolini
Interpretato da Valerio Asara



Aldo: è giovane, vestito con giacca e camicia puliti, uno sbandato
In scena due sedie, una di Aldo, l’altra è occupata da un secondo personaggio che chiameremo il Giocatore Immaginario che non comparirà in scena se non attraverso gesti e parole di Aldo
L' azione si svolge in un non luogo. Luce fioca. È notte. Il giocatore immaginario è seduto su di una sedia a sx dando le spalle al pubblico di 3/4.

Buio in sala
(Rumore di monetina che cade) 
Testa!
(Luce. Raccoglie la moneta, la mette in tasca e tiene la mano là. E’ nervosissimo, fa qualche passo)
Ancora testa!
(Estrae dalla tasca una rivoltella, fulmineo. La punta sul pubblico).
E se te lo faccio un buco in testa?
(Silenzio. Sguardo duro. Poi Aldo abbassa l’arma).
Vedi, in 'sto pezzo di ferro non c'è niente. Niente di giusto, niente di sbagliato. Però 'sta cosa può fare delle cose grandi, ma può anche fare dei disastri, e questo non è solo colpa di come la si usa, perché è sempre una pistola, è fatta per far male, con questa non ci ammazzi le galline, se le spari poi trovi solo le piume. E neanche tutte!
(Se prima era mortificato ora torna ad essere baldanzoso)
E poi ti fa sentire forte... a un certo punto hanno detto che bisognava darle tutte indietro, bisognava darle ai liberatori, come se fosse  facile, e non è facile, e non lo vuoi fare. E che vadano tutti al diavolo ma non lo vuoi fare, te la nascondi qui, nella cinta dei pantaloni, con questa in tasca fai delle cose che non riesci a immaginare. La metti in faccia a uno, lo guardi cattivo, così cattivo che uno non l' ha mai visto, e se l' ha visto non lo racconta e…
( Punta l’arma. Silenzio, sguardo duro, poi parla, sempre prendendo la mira)
Ma le facce che vedi poi te le ricordi, (abbassa l’arma e continua) te le sogni di notte e di giorno, basta chiudere gli occhi.... come le facce della fame, di quelli che di fame ci muoiono, e proprio lì ci muoiono , senza spostarsi, senza cercare un posto per finire, lì dove capita, senza un' idea, senza un soldo senza....
(Il giocatore immaginario lo interrompe con un gesto)
(Rimette la pistola nei pantaloni. Sorride) Tempi così. Succedeva. E non ci volevi far niente. Il meglio era farsi gli affari propri, stare con questi e con quelli, e prendere da tutti. Lo sa come fa una mina? Rimane li, vicino al pozzo, una mina di quelle belle grosse, quelle anticarro, la gente ci passa sopra per prendere l'acqua, e lei niente, zitta. Ci passa sopra anche Pietro che è grosso. Niente. Poi un giorno hai sete, prendi il secchio, cali, tiri su e lo butti in parte pieno per calarne un' altro. Piume. E neanche tutte.
La gente era tutta così, di qua e di là, che avevano le armi o no, gli calpestavi la faccia e loro shhhh! Ma se Li guardavi intanto che facevano chissà che cosa, allora…
Testa o croce? Io sempre croce (Rivolgendosi al giocatore immaginario; la lancia in aria)
(Guarda la moneta, è testa. un po’ seccato si rivolge al giocatore)
…testa.
(Poi riprende)
Poi c' erano quelli che ci credevano. Per me erano matti. Sparare va ben, rubare anche, ma crederci!!! Ehh! La liberazione. Mah! Se proprio andiamo con qualcuno andiamo con loro. Le divise non mi sono mai piaciute. E poi quelli proprio cattivi li facevamo fuori. A volerlo il lavoro non mancava. E ce n' erano di cattivi dappertutto, anche dove stava la mia mamma... me lo ricordo il capoccia. Stivali da cavallo, che di cavalli non ce n' erano, pantaloni grandi, grigi, cinturone di cuoio e giacca tutta piena di patacche, e poi 'sta faccia, di uno che mangia tutti i giorni, e due volte, e non gli manca niente, uno dalla faccia appena svegliato, e svegliato bene, con la bocca di caffè e la brillantina fresca in testa, che basterebbe per tre.
Un giorno arriva in paese coi suoi. Parlano che non si capisce niente. Il capoccia dice che casa mia  non è più mia, e io e la mamma andassimo nel pollaio, che tanto si libera subito. I soldati si mangiano l'orto, la dispensa, tirano giù anche l' albero dei cachi, e poi uno ubriaco, del mio vino, prende la pistola, viene nel pollaio di notte, e noi che ci caghiamo in mano e la mamma che già ci dà il del profundis, e questo che è talmente ubriaco che non riesce a scarrellare, guarda mia mamma, poi me, galline da tutte le parti, gli altri fuori che ridono, un casino, e questo che dice cose che non si capisce niente, io col sangue che corre dai piedi alla testa dalla testa ai piedi, mi da la pistola. E' la prima volta che ho una pistola in mano. E' fatta strana. (estrae la pistola, la guarda come un bambino, un oggetto inerte. Mormora come fra sé) E' proprio così.
(adesso la brandisce come in quell’occasione, contro il giocatore immaginario)
Io non so cosa fare. Ma quelli fuori non ridono più. Le galline si fermano. Anche mia mamma. Al soldato passa la sbronza di colpo, ma non si muove neanche lui. Bianco. Freddo. Se fosse adesso saprei cosa fare.
(abbassa gli occhi alla pistola, la fa scarrellare, la punta con gesto esperto, da killer, sull’uomo. Sta per premere il grilletto. Un attimo di sospensione poi la abbassa e la rimette nei pantaloni. Continua a raccontare)
Alzo gli occhi e c'è un altro che mi strappa la pistola di mano, la carica guardandomi poi dice una cosa forte all' ubriaco, gli sbatte la pistola in petto e se ne va. E ancora galline per aria, gente che ride, gente che prega, il soldato ci guarda, stringo gli occhi e sento un colpo. Piume. e neanche tutte. Quella volta è toccata alla gallina, che non se l'è neanche mangiata nessuno.
Poi quelli se ne vanno. Lasciano la casa, volesse dio, così almeno dormiamo nel letto. Prendiamo le due cose che ci son rimaste, facciamo le scale, la mamma è quasi contenta, io proprio sulle scale la passo avanti di corsa perché voglio vedere il mio letto e andarci su. Apro la porta della camera e la finestra è mezza chiusa allora di corsa mi butto sopra il letto. Ormai mi son buttato che non ci riesco a fermarmi e faccio come nei film di disegni che li ho visti un paio di volte che uno restava in aria come se ci avesse le ali giusto il tempo per capire cosa lo aspettava sotto e che di ali non ne aveva e ci casco proprio sopra al letto e anche alla merda. Quei bastardi ci avevano cagato sopra in ricordo della bella vacanza che si erano fatti in casa mia. A me faceva schifo ma è meglio il letto cagato che il pollaio che è tutto una grande latrina e allora mi alzo e vado per scendere che mi vado a lavare. Quando prendo le scale vedo la mamma che nella sua stanza si veste come per la domenica, ma è lunedì e non c’è messa…allora chiedo alla mamma dove vai? E lei mi guarda e non l’ho mai vista così. Lei esce e io mi sposto e lo sai dove andava? (rivolto al giocatore che non risponde ma che inizia a sistemarsi i capelli con della brillantina) Andava dal capoccia…con quella faccia lì che se lo sapevo non la lasciavo nemmeno uscire. Passa il tempo di togliere la schifezza dai letti che la mamma ritorna e io chiedo dove è stata. Ma lei non mi risponde.
(Aldo và a sedersi sulla sua sedia)
Nel paese c’era anche Carlo però. Lui era un poco amico di babbo e a me stava simpatico perché nessuno gli diceva mai nulla. Se avevi bisogno di una cosa, medicine, del petrolio e anche di qualcosa non tanto a posto, la dicevi a lui e lui la portava. Tutti lo rispettavano e a noi ci trattava sempre bene, che ci faceva pagare meno e faceva anche dei regali alla mamma, perchè diceva che il babbo era una brava persona. Però il capoccia si sa che gli aveva puntato gli occhi addosso e che era meglio se spariva. Sapevo che Carlo si portava dietro dei ragazzi del paese che non si sapeva bene dove andavano ma che facevano sempre meglio che stare in paese a morire di fame. C’erano già Pasquale e Pietro che di sicuro stavano nella banda di Carlo.
Dopo il fatto dei soldati in casa mia e della gallina io sentivo che era ora di andarmene e allora ho chiesto a Carlo di portarmi via. Non ho salutato nessuno, nemmeno la mamma e da quella volta non l’ho più vista. Non pensavo di andare così lontano ma Carlo era messo male e allora siamo andati sulle colline.
(Lancia la moneta, la riprende, non la guarda)
Testa? (Rivolgendosi al giocatore immaginario)
(Aldo la scopre).
Ma come diavolo…testa. Tu poi devi spiegarmi come fai. Tu la sai lunga e molto più lunga di me, questo è poco ma sicuro. Tu sei uno di quelli che sanno sempre cosa combinare e come fare le cose per campare. Come Carlo, come il capoccia…Ma lo sai che fine facevamo fare ai furbetti che cercavano di fregarci?
Io a ammazzare la gente non ci provavo mica gusto, e noi della banda non volevamo proprio ammazzare nessuno, non eravamo degli scalmanati, noi stavamo nel mezzo. Se c’era qualcuno da accoppare si cercava di far fuori quelli della repubblica e delle volte ci chiamavano anche per dare una mano contro i soldati, ma noi facevamo come ci pare e ci conviene.
Per un periodo siamo stati in campagna.  Quella gente, i contadini, non ci voleva ma noi ci stavamo ugualmente e da padroni. Carlo non faceva che mangiare e bere, sembrava proprio lui il padrone e c’erano anche….(fa fatica  a ricordare i nomi)…Alice e Carla, due belle ragazze figlie del contadino. E devo dire che non ce la passavamo affatto male lì. Ma quella gente non ci voleva, soprattutto i figli. Una volta ci avevano provato a mandarci via. Di notte avevano preso un coltellaccio, di quelli per accoppare il maiale  e la falce e erano venuti su quatti quatti per il granaio. Solo che Pietro e Pasquale erano sempre svegli di notte. Io e Carlo a dormire la notte e loro tutto il giorno. Bisogna stare attenti a tutti e non è una cosa facile. Bisogna sempre stare svegli. E allora quei due cretini ci provano, e non c’avevano neanche tutti i torti che gli mangiavamo tutto e gli scopavamo pure le figlie. Carlo non ci pensa un momento. Aveva una di quelle belle baionette, e senza fare un rumore l’aveva tirata fuori dallo zaino. Non un muscolo ha mosso. Quando quello gli è arrivato sopra, e sta prendendo la mira lui paff. Tutta la baionetta gli ha ficcato nella gamba.
 … e intanto Pasquale batteva sulla schiena l’altro con il manico della falce. Gli abbiamo buttati nel porcile e siamo tornati a dormire…
Beh,  un giorno arrivano quelli della repubblica. Non si capiva se avevano più paura o se gli giravano solo le palle. Noi via di corsa nel campo. Con noi tutti gli uomini della casa, compreso il contadino, che gli faceva un male la gamba ma che saltava come una lepre e i figli e anche gli sfollati. Tutti a correre, con zaini e valigie che quando siamo arrivati nel campo il contadino ci guardava anche male che si capiva che pensava “venite qua, rompete le palle, vi mangiate tutto vi prendete pure le ragazze e poi quando arrivano i soldati scappate come me…ma 'sti qua con chi è che stanno? Ma chi ce li ha mandati?”. I soldati sono proprio incazzati, non fanno una piega, non chiedono nulla a nessuno; piazzano la mitragliatrice, quella grossa da 20 e via; iniziano a sparare a raffica sul campo. Io sono finito in mezzo ad una canaletta.
Vicino a me uno che non ho mai visto, uno di città, uno sfollato. Se la fa sotto dalla paura e a dire la verità anche io. Smettono di sparare ma si sente che stanno cambiando il nastro della mitraglia e
Cosa fai ti alzi? ma vuoi che ci prendono tutti e ci attaccano al muro? sta giù cretino che ti vedono.  Gua’ che se non vieni giù ti strappo via i pantaloni che io non mollo … Vieni qui stai basso e non parlare.
Brutto coglione la molli di scalciare che ti metto sotto? stai li con la faccia che se ce l’hai in terra vediamo come parli, fermo ho detto, fermo…
E ringrazia che la terra e morbida che ha piovuto che sennò ti spaccavo la faccia. Sta fermo. Toh! (e gli do due pugni sulla schiena).
Parte la seconda raffica. Vedo Pasquale che si rigira per terra e Carlo che salta fuori dalla sua buca e striscia verso di lui per tappargli la bocca. La seconda raffica dura tanto tempo. Vedo le piante intorno a me che si spezzano e prendono anche fuoco. Per fortuna che ha piovuto o facciamo la fine dei topi. Nella confusione mi sono dimenticato anche di quello che sta sotto…
Ti sei calmato? Stai buono li che adesso ti lascio. E dai che non caricano più. Cosa fanno? è inutile che cercate roba che abbiamo fatto piazza pulita, ce la siamo presa tutta noi, non la lasciamo mica li la roba. Ma guarda, quelli le donne non le guardano nemmeno, c’hanno paura allora. Cosa …Carlo? stanno parlando proprio di Carlo. Se non avesse fatto quella cazzata di andare in paese a parlare con il gruppo di sopramonte. Devono averli beccati. Questo è un momento che bisogna stare fermi, trovarsi una bella casa di contadini e non scollarsi di lì per almeno due settimane. Noi ci siamo riusciti, loro no. Bene se ne vanno…dai sveglia se ne sono andati. Hei vieni su che se ne sono andati, basta è finita.
Lo giro ed era morto. Si era soffocato con la terra o forse lo avevo soffocato io. Quella volta mi ci è voluta più di una settimana per dimenticarmi quella faccia da morto che aveva. C’era sopra tanta paura. Forse gli era scoppiato il cuore. Comunque lo giro e lo frugo come facevamo sempre e vedo che ha la mano stretta. La apro e dentro questa bella moneta… dev’essere antica, l’ho capito subito che era di valore…
(La guarda)
Mi ha sempre portato fortuna… è la prima volta che fa questo scherzo… prima faceva quello che volevo io.
Comunque una cosa così non l’ho mai vista mai!!!
Da quant’è che fa sempre testa?
Questa volta scommetto che fa croce,  batti batti…
…testa!…
Comunque, dopo la storia del rastrellamento siamo dovuti andare via. Carlo se ne va e ci molla lì. Lui le armi le va a consegnare e ci dice che è meglio fare così che si evitano problemi e che adesso basta mettersi a lavorare e se hai un po’ di testa i soldi escono. Poi lui ci dice che ci sono certi che gli devono dei favori e che se non glie li fanno lui va e li denuncia così li mettono al muro e che gli conviene dargli retta. E quindi ci separiamo. Io però la pistola non la do a nessuno perché è mia e mi serve e poi io…a me piace farle le cose, poterle controllare, costruire, ma con questa schifosa guerra ho dovuto imparare a disfarle le cose più che a costruirle e allora quando ti dicono: ora è finita devi iniziare a costruire le cose ma dopo tutto quello che ho dovuto distruggere sembra impossibile che le tue mani si mettono a fare una cosa tanto diversa e poi io non so scrivere tanto bene e allora cosa vado a fare? Nemmeno la patente mi danno perché non ho fatto tante scuole, con mio padre che era un rosso era meglio che io stavo a casa e imparavo un poco dal babbo, quando non se lo portavano via. E quando tornava c’erano delle volte che non riusciva nemmeno più a parlare dal male che ci aveva addosso. Poi una volta non è più tornato…
(Aldo prende una bottiglia di vino versa un bicchiere e beve).
Allora non ci restava altro che lasciarci. Ogni uno per la sua strada. Così ho cominciato a girare. E pensavo: sono proprio uno stupido. Hai visto quanta gente ha saputo tirarci fuori del bene per sé da questa guerra schifosa? Ed invece io dovevo solo andarmene perché ne avevo combinate un poco troppe per restare nello stesso posto. Ho girato non so nemmeno quanto e non pensavo a cosa avrei fatto, stavo sulla strada e vivevo per avere i soldi per tirare avanti fino alla sera. E con questa moneta di soldi ne facevo… giocavo con i contadini che si facevano fregare e poi giocavo tanto con i liberatori e come ci cascavano e allora fuori i soldi gli dicevo e a loro non restava che pagare… ne avevano così tanti e sembrava che non sapevano come spenderli e allora pagavano e se provavano a non pagare allora gli facevo paura. Erano talmente ubriachi che non si reggevano in piedi. L’unica cosa che li va bene era una bottiglia di vino ed una donna e di donne c’è n’erano tante in giro che bastava allungare una mano per prendersele. La fame e la mancanza di uomini. E quanta speranza in quelle donne affamate, sposare un eroe che ti porta di là dall’oceano e ti fa fare la vita della signora.
Ma era un giro strano perché non andavo in tondo, avevo una direzione che era verso le montagne. E di settimana in settimana le vedevo che si avvicinavano sempre di più. Le montagne mi sono sempre piaciute, quando era bello riuscivo anche a vederle dal tetto di casa mia dove ci andavo proprio per quello. Vicino a dove son nato ci sono le colline, ma non sono le montagne, vanno bene per nascondersi ma le montagne sono tanto più grandi, cento volte più grandi e tanto strane che ti fanno anche un po’ paura. Si vedevano bene dopo un bel temporale che si riusciva a vedere tutte le buche e i prati. Una volta si vedeva così bene che mi pareva di vederci le strade e le case su quelle montagne. E allora via verso le montagne. Giravo sempre a piedi e stavo attento a non andare dove c’è troppa gente che magari uno ti guarda storto e ti trovi le guardie che ti fanno perquisizione e se salta fuori la pistola…E chi ci pensava a quello che sarebbe successo dopo. Intanto la gente si stava organizzando e il lavoro riprendeva piano piano ma riprendeva. E un po’ di soldi giravano… e io un po’ ne rastrellavo, con questa.
(Lancia la moneta)
…testa! Non è possibile! Non ci posso pensare!
Perché se ci penso mi vengono in mente solo cose cattive, come prendere la pistola e accoppare uno, fare un lavoro fatto bene...poi arrivo in questa città tanto vicina alle montagne che se cammini un ora ci sei e chi ti vado ad incontrare, il Capoccia di cui parlavo prima, quello del paese.
E sai lui come se la passava? Aveva messo su un capannone dove faceva le vecchie lampade a olio. Con tutto il casino che c’era in giro la luce elettrica c’era e no e allora serviva la candela o la lampada. E lui aveva messo su un capannone dove si facevano le lampade. E visto che era una cosa che serviva a tutti allora i soldi per farla glie li aveva dati lo stato, o qualche suo amico dello stato perché se i soldi li chiedo io mica me li danno…e lui, per fare più soldi aveva usato i soliti sistemi da capoccia e aveva messo a lavorare i carcerati. In mezzo a quelli lì c’erano gli stessi che stavano con lui prima del patatrac, e gli dava solo un pò di zuppa da mangiare. E poi si sapeva che se volevi sparire, come aveva fatto lui quando è andato via dal paese, bastava che gli davi dei soldi e lui ti dava i documenti e tutto e potevi andare oltre oceano dove non ti trovano più. E c’era un sacco di gente che non voleva farsi trovare più. Ste cose me le aveva dette Cesco che lo avevo visto in pianura e mi aveva anche detto dove stava il Capoccia che a me la storia della merda non mi era andata giù… e quando l’ho visto allora l’ho preso per un braccio e lui faceva finta di non conoscermi. Ma io sapevo che lui mi conosceva e allora gli ho fatto vedere la pistola. L’ho portato in fondo alla città. Non volevo che mi scappasse. Abbiamo camminato per un sacco di tempo, e lui non ha fatto una piega. Siamo arrivati su un canale, gli ho fatto togliere i vestiti e gli ho fatto fare il bagno. Lui allora ha cominciato a tremare per il freddo e forse per la paura. Sapeva che cosa stavo pensando. L’ho fatto andare dentro fino alla vita e poi…e poi.
( Prende la pistola dai pantaloni, lento, come rassegnato. È di fronte all’uomo, gli punta la pistola in faccia, (passa qualche istante) preme il grilletto (clik). Poi sconfortato abbassa l’arma, guarda per terra…)
C’era l’acqua che era nera, oleosa e i prati intorno fumavano come se la terra fosse stata calda. Le montagne infondo erano delle grosse cose nere.
Le nuvole coprono la luna e sembrano così morbide che ti ci puoi appoggiare. Che caldo, un caldo che sta sulla pelle ma non scalda dentro. Il cuore è nero e freddo e fatto come di grasso. Non batte più… forza che non è ancora ora di fermarsi, devi lavorare per me ancora un po’ e poi ti lascio libero di smetterla.
E’ rosso, come è rosso e grasso sull’acqua, guarda si vede la luna che splende. C’è più vita in quello specchio che in tutto il mio corpo…l’odore della vita, il caldo della vita. Tieni (butta la pistola) non ti voglio più, vai dal tuo padrone, ritorna sotto terra che è il posto dove stare e dove ti hanno tirato fuori. Sempre li dovevi stare che non fai che farmi fare cose che non servono a nulla, come questa qui che potevo anche lasciarlo andare che tanto prima o poi il male che fai ti torna, che sei uno stupido che potevi mangiare e bere alle sue spalle per quanto volevi che non ci avrebbe provato a mandarti via. Sei proprio scemo e allora a te le pistole servono solo a fare del male. Ma che vada tutto a fare in culo…
Li ci restai fino a quando non venne la notte. Seduto a fianco del fosso. Arrivarono anche dei topi e iniziarono a portarsi via qualche pezzo. Quella notte non ho dormito, ho camminato per stancarmi ancora di più di quello che già ero e per dimenticare e per smetterla con tutto questo…
Era proprio ieri che dopo quella brutta storia che mi aveva fatto decidere per smetterla con tutte quelle faccende di girare e ammazzare gente, stavo camminando per un viale del centro e una camionetta di guardie mi ferma. Io sento gelare il sangue perché penso che hanno capito che fine ha fatto il capoccia e che hanno trovato il corpo e stanno cercando chi lo ha fatto fuori e…mi squadrano dalla testa ai piedi e mi dicono perché sto qui invece che a casa mia. Poi mi chiedono se ho un lavoro e io rispondo di no, poi mi chiedono dove abito e io rimango in silenzio sempre facendomela sotto perché penso al peggio, anche se la pistola l’ho buttata. Mi arrestano per vagabondaggio…è una cosa stupida che ti prendono per una cosa così. E mi mettono anche in cella.
C’era l’odore della muffa e di vecchi straccioni. Io non so come e quando ne verrò fuori, ma dentro quel cesso di cella ho avuto tutta la notte per pensare senza fare male a nessuno. Allora ho chiamato la guardia e ho chiesto di parlare con qualcuno che un documento lo avevo ma non con me e che se mi facevano uscire prendevo il treno e andavo a casa. Mi portano dal comandate che mi dice se ho i soldi e io li faccio vedere…allora mi dice di dove sono e poi fa una telefonata. Io sono tutto sudato ma la cosa sembra che si mette bene. Poi il Comandante mi dice: Aldo, ho sentito il collega del tuo paese, e mi ha detto che ne hai combinate un bel pò dalle tue parti…ora i tempi stanno cambiando, prendi il treno e torna che prima o poi lo devi fare ed è meglio che lo fai ora…trovati un lavoro e lascia perdere con i rancori che la gente dimentica, non sai quanto velocemente dimentica. Adesso firma qui che ti portiamo in stazione. E mi raccomando che se ti ripesco da ‘ste parti ti fai una settimana di galera. Buona fortuna.
A me non sembra nemmeno vero, mi montano sulla camionetta e in cinque minuti sono in stazione. Ma mi torna anche in testa, andando veloce per le strade della città che è come se c’è qualcosa che mi aspetta proprio li, in questo posto qui. Arrivo alla stazione scendo e aspetto che và via la camionetta, intanto la gente mi guarda un pò strano che mi hanno portato le guardie. Ma io aspetto e quando si è calmata la situazione, con i pochi soldi che ho in tasca vado ai bagni diurni. Mi lavo, compro anche un bel pezzo di sapone e mi lavo di dosso la galera. E poi di nuovo per la città, senza un soldo in tasca. E’ come se ho scelto un posto speciale. Mi fermo in piedi, e aspetto che questa cosa che sento diventa vera, arriva in carne ed ossa…aspetto, passa tanta gente, e mi sento la testa leggera. …Maria! Era proprio lei che stava passando davanti a me con il solito vestito vecchio ma ordinato di sua mamma o sua nonna non ricordo più. Un colpo di calore come se ho bevuto del vino caldo, e il cuore che mi scoppia dalla felicità e poi, era lei, vera. Che vergogna, mi passa per la testa di non farmi vedere, mi infilo sotto l’ombra di un portico, che oramai era sera. Poi come una cosa che io non volevo ma che succede lo stesso mi esce di bocca “Maria”. Solo il nome senza un particolare senso. E in quel momento ho capito. Ho capito che era troppo tempo che scappavo. Maria si gira. Ha capito tutto già da prima e non ha nemmeno il tempo di spiegare che cosa succede. Succede e basta.
(Aldo si siede e apre un fagotto, è un canovaccio da cucina.)
(Lo apre. Dentro c’è un grosso pezzo di formaggio grezzo.)
(Lo annusa.)
E’ lo stesso odore che aveva Maria sui vestiti, sui capelli, su tutto il corpo. Non poteva essere diverso. Lei era così, era fatta di lana, di erba e di latte. Sapeva di quell’odore buono che ha la stalla dopo che è stata pulita e che tutta la paglia è stata fuori per un giorno a prendere il fresco. Mi fa girare ancora la testa. Maria era una donna forte, aveva delle gambe forti e grosse che poteva camminare anche per giorni e giorni. Aveva occhi, bocca, orecchi piccoli e dentro il grigio di quegli occhi li c’era qualche cosa che sapeva di selvatico di montagne, quelle che io guardavo dal tetto di casa.
 (Si gira verso il pubblico)
E’ stato quando giravo… di notte mi sono buttato in un campo, di corsa e correndo tutto basso, come si faceva quando ci sparavano dietro così i contadini non mi potevano vedere. C’era un grosso albero e per l’estate dormire sotto un albero va proprio bene. Era una di quelle querce giganti che non finiscono più, che hanno un ombrello di foglie che sembra di stare sotto il tetto di casa. Arrivo e mi butto. Mi guardo intorno e vedo qualcosa che si muove. Tiro fuori la pistola e senza fare rumore mi avvicino. Quando sono vicino vedo che questa cosa che si muove è un uomo…anzi è una donna. E’ così che l’ho conosciuta. Mi ricordo quell’odore di latte e me lo ricordo ancora come era quella notte lì. Sapeva di quell’odore anche in mezzo alle gambe. E’ una cosa che non succederà più. Forse è per quello che non volevo fermarla quando l’ho vista di nuovo.
(si alza dalla sedia)
Maria il formaggio lo portava dalle montagne alla città di pianura. Era una cosa che non si poteva fare perché tutto era razionato. Ma lei lo faceva perché a casa c’era bisogno dei soldi e allora si faceva il contrabbando. Si andava giù con il formaggio o con il burro e si vendeva nelle piazze del mercato. Ma bisogna stare attenti perché se ti prendono ti mettono in galera. Maria faceva questo, e diceva “sempre meglio che governare le vacche come fanno i miei fratelli”. E’ un lavoro duro andare su e giù per i campi. Maria mi chiede se lo voglio fare anche io. Va bene! perché il contrabbando è un lavoro che ci vuole testa e bisogna sapersela sempre cavare. Non hai padroni e ci vuole un sacco di fantasia per farlo bene.
Maria mi dice che ci troviamo domani lì nella piazza quando arriva fuori l’alba e che ci pensa lei a parlare con il babbo e con i fratelli per dire che può portare tanto più formaggio in pianura. Maria mi da un bacio che quasi finisco per terra e allora la stringo con le braccia e non voglio che và più via. Lei mi dice che devo avere un po’ di pazienza e che se faccio bene il mio lavoro poi lei mi porta a casa. La saluto. Aspetto che non si vede più per andare via.
(si mette con le mani appoggiate sullo schinale della sua sedia, rivolto verso il pubblico)
Una notte, una notte grande così. Con il cuore sempre in mano, con un batticuore che non si può capire, peggio di quando stavo nascosto nel campo con la mitraglia che sparava e quel poveretto lì sotto.
La voglio vedere e accarezzare ancora e voglio vivere un po’ senza la paura e che nessuno mi spara dietro. Se penso a tutta la paura, la fame che ho dovuto vivere mi viene da sperare che vinci tu, ma se penso a Maria io voglio vincere con una tale forza che tu nemmeno te la immagini(mentre dice questo prende la sedia e la mette davanti al giocatore)…Mi trema la mano, non riesco a lanciare. Mi sembra di aver girato il mondo ed invece sono sempre rimasto qui, fermo immobile, con questa moneta in mano che era mia, perché è sempre stata mia e c’è il mio nome scritto sopra, inciso con un cacciavite o con una baionetta di ferro duro. Non posso perdere. Non devo lasciare che il freddo mi porta via di notte come in un sogno. Io lo so che non devo lasciare che vinci tu. Se chiudo gli occhi e tutto diventa caldo, soffice, che sa di latte io me ne vado. Con me se ne va un mondo che forse è meglio che se ne va. Un tiro solo e tutto è deciso. Fai che vinca con questa cazzo di moneta che ormai fa quello che vuole, non mi obbedisce più, nasconde le sue facce. 
Si, va bene giochiamo allora! (rivolto al giocatore immaginario)
E’ notte e fa freddo un freddo che solo in montagna può fare. È oggi. Da poco ha suonato il campanile e mi mancano solo cinque massimo sei ore per vedere Maria.. E ho anche fame. C’è questo qui (rivolto al giocatore). Hei c’hai qualcosa da mangiare che ce lo giochiamo? (il giocatore estrae un pezzo di pane). Io cosa ci scommetto, non c’ho nulla però, tanto son sicuro che vinco. Ci metto la giacca, la mia giacca per quel pezzo di pane di merda, ti piace ci stai? (il giocatore fa segno di si) Allora io metto la mano nella tasca e le mani sono due pezzi di ghiaccio, su fino al gomito. E tremo dal freddo. Ho freddo dappertutto, lo vedi che ho paura e (tra se rivolto al giocatore).
Allora io croce, ci stai?
( Il giocatore fa cenno di si)
La lancio in aria e quella gira nella luce della luna, brilla, ride. Mi cade in mano. Ma non riesco a tenerla, se era nella mia mano potevo provare a nasconderla ma quella cade per terra e rotola. Sbatte sulla scarpa di quello li che vuole la mia giacca.
Testa non è possibile…Si vede chiaramente alla luce della luna. Allora mi tolgo la giacca e glie la do. Io per un momento penso che forse me la lascia perché mi guarda con gli occhi pieni di tristezza. Poi la sua faccia cambia e adesso dice: ne ho bisogno è mia, forse con questa giacca non muoio di freddo. Me la prendo io.
Allora io cerco la pistola. Ma l’ho buttata via quando ho fatto fuori l’altro e ho freddo e paura e sono in confusione…intanto l’altro inizia a scappare e corre come il vento. Io ci provo a corrergli dietro ma non c’è nulla da fare. Lo cerco in mezzo alle stradine di quella città che non è la mia e che non conosco poi cado e…
(Buio)
Fine


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